Perché in questo periodo sogniamo di più e in maniera più intensa? È la domanda che si fanno in molti, tanto che il termine di ricerca di Google "sogno coronavirus" è letteralmente esploso con milioni di richieste sul web. Allo stesso modo molte persone hanno condiviso il loro #pandemicdreams su Twitter dopo essere rimasti profondamente angosciati o semplicemente colpiti dai propri sogni.
In tutto il mondo i ricercatori che studiano i sogni hanno notato, al tempo del Covid-19, un incremento nella quantità di sogni e un cambiamento della loro qualità. Lo scrive su Psychology Today il dottor Patrick McNamara, professore di neurologia alla scuola di medicina della Boston University, che insieme ad altri ricercatori sta raccogliendo i sogni all’epoca del Covid-19, per analizzarli e confrontarli con quelli pre-pandemia. In questo periodo di emergenza e auto isolamento, molte persone raccontano di avere un’attività onirica più intensa, con sogni più vividi, che non di rado assumono le fattezze dell’incubo. Ecco le spiegazioni più plausibili.
Secondo Deirdre Leigh Barrett, professoressa di psicologia presso il dipartimento di psichiatria della Harvard Medical School, in questo periodo di lockdown le persone dormono più del solito; un fatto questo che incide sulla stessa possibilità di sognare. I sogni si verificano durante la fase REM (Rapid Eye Movement) del sonno, caratterizzata da una specifica attività cerebrale e, appunto, da rapidi movimenti oculari. E poiché periodi più lunghi di sonno Rem si verificano solo durante le ultime ore del sonno, la fase Rem può essere compromessa se non si dorme abbastanza. Dunque, ad una maggiore possibilità di cadere tra le braccia di Morfeo corrisponde una maggiore possibilità di sognare, ovvero di poter contare su quello spazio fisiologico necessario per tradurre in immagini quello che si agita nel mondo interno.
Ma dormire “bene”, per durata e successione di fasi REM e non REM, non significa affatto essere calmi e tranquilli: è proprio nel lungo torpore del sonno che viene meno il controllo vigile della persona sulla realtà e sulle emozioni, per cui ogni genere di esperienza vissuta dal soggetto dai contorni problematici e angoscianti torna a galla nella libertà immaginativa del sogno. Sigmud Freud al termine della Prima Guerra Mondiale, nel suo “Al di Là del Principio del Piacere” del 1918, cedette all’evidenza che i sogni di molti reduci traumatizzati dalle esplosioni non fornivano alcuna soddisfazione del desiderio ma riproponevano con forza e in maniera ripetitiva l’esperienza traumatica stessa. L’ampia diffusione di sogni traumatici fu poi osservata nei reduci della guerra del Vietnam, come parte del PTSD (Disturbo Postraumatico da Stress), mentre oggi sembra ripresentarsi con altrettanta evidenza nel corso della pandemia da Coronavirus, in cui tutti noi siamo stati colti di sorpresa, in balia di una furia tanto nascosta quanto distruttiva. Di fatto, in questo periodo segnato dall’incertezza e dalla morte, molte persone riportano sogni angoscianti che tendono ad assumere la consistenza dell’incubo. Nella sostanza, le ipotesi interpretative formulate dal padre della psicoanalisi più di un secolo fa si ripropongono nelle spiegazioni degli specialisti di oggi. Secondo McNamara, le sensazioni di paura ed ansia per la pandemia si stanno riversando nei sogni. Molti studiosi attribuiscono la vividezza dei sogni al caos emotivo e fisico che molti stanno vivendo: se riportiamo livelli più o meno intensi di stress per la pandemia, per i gravi rischi medici che porta, per le conseguenze che può avere sul lavoro e sulla vita relazionale, è poi normale che questi temi, soprattutto la loro tonalità emozionale appaiano nel contenuto dei nostri sogni.
L’ipotesi di fondo è che i sogni abbiano uno scopo funzionale nel prepararci a situazioni difficili o impegnative che affrontiamo quando siamo svegli. Durante il sogno, la mente elabora un problema. Quando accade qualcosa fuori dall’ordinario, come una pandemia, il nostro cervello può elaborare l’esperienza attraverso il sogno. Secondo la ricercatrice Rosalind D. Cartwright, autrice del libro In The Twenty-four Hour Mind: The Role of Sleep and Dreaming in Our Emotional Lives, ciò che viene trasportato nei sogni sono le nostre esperienze recenti che hanno una componente emotiva, spesso negativa: sognare “modula i disturbi dell’emozione, regolando quelli più problematici”. La ricerca di Cartwright sostiene che il sogno scioglie la carica emotiva dell’esperienza. Questo, dice Cartwright, non sempre avviene nell’arco di una sola notte; a volte può richiedere molte notti.
Più nello specifico, si può ipotizzare che sognare in maniera più vivida sia una reazione traumatica allo stress o all’isolamento. Uno studio del Kings College di Londra, pubblicato sulla rivista medica The Lancet a fine febbraio, ha analizzato l’impatto psicologico della quarantena. La ricerca ha riportato “effetti psicologici negativi, tra cui sintomi di stress post-traumatico, confusione e rabbia”. I fattori di stress sono stati identificati nelle seguenti dimensioni: una lunga durata della quarantena, paura legata al contagio, frustrazione, noia, avere provviste e informazioni inadeguate, perdite economiche e pregiudizio. Se il rischio che l’autoisolamento e la pandemia possano causare stress post traumatico (Ptsd) è reale, questo potrebbe spiegare, in parte, anche un mondo dei sogni alterato.
articolo a cura della dottoressa
Rossella Bloise
Psicologa psicoterapeuta a Firenze
Il mio approccio alle tematiche della sofferenza psichica e del benessere è in accordo con la prospettiva psicoanalitica, che mi ha formato e continua a formarmi come persona e come professionista.
Dott.ssa Rossella Bloise
Psicologa Psicoterapeuta a Firenze
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Laurea magistrale in psicologia dello sviluppo e dell’educazione
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