Esperienze di arte terapia attorno a “Il Ritratto di Dorian Gray”
Fulvio Tassi 1 e Rossella Bloise 2
Lev Semenovic Vygotskij rappresenta un riferimento storico fondamentale per la Psicologia dello Sviluppo e il Cognitivismo; meno note sono le sue speculazioni attorno alla natura dell’arte, che animarono i suoi scritti giovanili e lo accompagnarono per tutta la vita, con un picco nell’ultimo scritto, praticamente dettato in punto di morte.
Tutta la questione è ricompresa nella distinzione dal sapore cartesiano tra qualcosa di mentale e qualcosa di materiale: da un lato il pensiero, dominio del mondo fenomenico soggettivo; dall’altro il linguaggio, costituto dal sistema codificato di significati e significati, creato e ricreato nel corso della storia culturale e tramandato di generazione in generazione. Il cuore del problema è fare del linguaggio uno strumento utile ad esprimere se stessi, per rendere materiale ciò che altrimenti rimarrebbe senza peso e nascosto in memorie fantasmatiche. Il compito non è di poco conto. Il linguaggio permette di dire a se stessi e agli altri ciò che momento per momento attraversa la psiche e muove la persona: le percezioni, le emozioni, le idee e le volontà, che segnano lo scorrere della vita e identificano la soggettività. Ma al tempo stesso offre a questa stessa soggettività un binario denso di mancanze, incertezze e inganni (Tassi, 1987) . Figlio conteso da una tradizione positivista e da una romantica, Vygotskij riconosce il valore di opposti atteggiamenti linguistici. Nella sua opera più nota e lineare argomenta il valore di un linguaggio scientifico, che dia al pensiero un’organizzazione logica e formale, mentre nella sua anima romantica riconosce il senso di un linguaggio interiore idiosincratico, che secondo il gioco delle libere associazioni tenda alla sintonia con l’originale fluttuare del sentire soggettivo (Wertsch, 1996).
È qui, nella dicotomia tra linguaggio scientifico e linguaggio interiore, che Vygotskij esalta il valore dell’arte, in particolare del linguaggio letterario, che prospetta la possibilità di svolgere una dialettica tra i due linguaggi, entrambi necessari alla piena realizzazione del Sé. Il linguaggio letterario rispetta i confini del linguaggio convenzionale, formalizzato e razionale, ma al tempo stesso, per l’attenzione che esso ripone nelle soluzioni formali, per la scelta delle parole e del modo in cui sono accostate è denso di valenze immaginifiche, che si accordano con il gioco delle libere associazioni. Così l’opera letteraria è tanto granitica e immutabile quanto dinamica e onirica; in definitiva, essa offre una via per tentare di ancorare il sentire soggettivo ad una forma espressiva codificata, e, al tempo stesso, per dare un volto ai contenuti personali che attraverso essa possono essere intuiti e indovinati (Tassi, 1987, 1994).
Vygotskij pone le fondamenta teoriche per comprendere il valore della letteratura come eredità culturale, in particolare accende un singolare interesse per le narrative gotiche; lo fa a partire dal suo primo scritto, interamente dedicato all’Amleto di Shakespeare, che di fatto ha costituito un punto di riferimento canonico per lo sviluppo del romanzo gotico, iniziato secondo la storia della letteratura con il “Castello di Otranto” di Walpole del 1764 (Punter, 1996). Nell’Amleto viene messa in scena la struttura profonda di questo genere letterario, dove assume un ruolo centrale la difesa primaria della dissociazione, che si staglia in risposta al trauma, nel contesto di un orizzonte mentale chiuso dalla paranoia, in cui si perde il confine tra realtà e delirio. Il trauma, la paranoia e la dissociazione sono proprio gli ingredienti che permettono di accomunare entro il genere gotico una serie diversificata di scenari narrativi, che comprende storie di sovrani delle tenebre come fantasmi, vampiri e zombie, di fantascienza in mondi irreali, futuristici e apocalittici, non ultimo, di dinamiche squisitamente psicologiche, segnate dalla perversione, la psicopatia e la pazzia (Punter, 1996; Tassi, 2016).
Vygotskij ha colto nell’Amleto le storie di spettri che determinano e tormentano quello che nel suo ultimo scritto denominerà il “dramma vivente del pensiero verbale” (Vygotskij, 1934). Un dramma scatenato da una realtà aliena e fuori controllo, che rimane indicibile, che non si rispecchia in parole in grado di mantenere un senso di realtà, che trova infine il suo tragico epilogo nella dissociazione. Tutta la tragedia di Amleto viene ricompresa da Vygotskij nella contrapposizione tra due concise citazioni tratte dall’opera stessa: da un lato “parole, parole, parole”, quelle tante parole che il principe di Danimarca rivolge inutilmente a se stesso per dare corpo al suo sentire e alla sua volontà; dall’altro “il resto è silenzio”, il silenzio in cui si perde e rimane muto il senso del suo agire. Amleto non sarà mai il capitano della sua nave, ma piuttosto il fantasma di se stesso. Quando ucciderà lo zio, omicida del padre e usurpatore del trono, lo farà in maniera quasi accidentale. L’evento che dovrebbe costituire il culmine della tragedia passerà così quasi inosservato, mentre tutta la scena sarà presa dall’accorata supplica, rivolta in punto di morte all’amico Orazio, di trovare le parole giuste per raccontare l’autentico svolgersi delle vicende umane che hanno prodotto questa cascata di azioni così caotica, scellerata e mortifera (Vygotskij, 1916, 1925) .
Fin da subito il romanzo gotico, con i suoi Mary Shelly, Stevenson e Stoker, ebbe un notevole successo popolare, mentre venne snobbato dalla critica letteraria; oggi, con i suoi Rice, King e Rowling, prosegue nella strada del successo commerciale, ma diversamente dal passato ha iniziato ad essere considerato come un fenomeno culturale di spicco, che dà voce alle tensioni psicologiche tipiche nella condizione postmoderna, tutte ricomprese in un sentimento di crisi del senso del Sé e di insicurezza esistenziale (Punter, 1996; Tassi, Ciucci, Baroncelli, 2017).
Sulla scia del lavoro di Vygotskij, volto a comprendere le ragioni che rendono difficile l’espressione del vissuto personale, ci siamo posti l’obiettivo, sia di esplorare l’attualità psicologica delle narrative gotiche, sia di indagare come l’uso del disegno possa essere funzionale ad esprimere la risonanza soggettiva di queste narrative. Abbiamo così condotto alcune esperienze di arte terapia, in cui la produzione grafica era preceduta dall’ascolto di opere del genere gotico.
Al fine di contenere l’attività entro un’unica seduta, si è posta l’esigenza di utilizzare un estratto dell’opera letteraria, la cui lettura potesse essere contenuta entro un tempo limitato di 10-15 minuti. I brani sono stati tratti da “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde, un grande classico del romanzo gotico che si svolge attorno al tema della dissociazione e del doppio, (Punter, 1997). Dal romanzo sono stati estrapolati brani in sequenza che trattano: il trauma subito da Dorian nel rendersi conto che il tempo sciuperà la sua bellezza; il trasporto amoroso di Dorian verso Sybil, in qualità di attrice che ogni sera gioca a teatro un ruolo diverso; il rifiuto di Sybil delle maschere del teatro, per dedicarsi appieno, senza ombra di finzione, all’amore per Dorian; Il rifiuto di Dorian del rapporto con Sybil al di fuori della copertura di queste maschere; la sofferenza e il suicidio di Sybil per l’essere stata tradita e abbandonata da Dorian; la dissociazione di Dorian dalla crudeltà rivolta a Sybil, dai moti dell’animo che segnano la vita e deturpano il volto.
L’esperienza si è svolta in gruppo ed è stata condotta da uno psicologo. L’incontro si apriva con la lettura da parte del conduttore dei brani letterari tratti dal romanzo, mentre ogni partecipante seguiva tale lettura su un foglio su cui erano stati riportati i brani stessi. Al termine della lettura seguiva il lavoro espressivo individuale. Si sottolineava di non preoccuparsi in alcun modo della resa grafica, ma di riportare ciò che “sta e passa nella mente”. Al termine del lavoro, si chiedeva di dare un titolo all’opera e di scrivere sul retro cosa rappresentasse. Ognuno aveva a disposizione un foglio di formato A3, con lapis e matite colorate, così da permettere anche l’esecuzione di disegni dettagliati, senza richiedere particolari abilità pittoriche, come nel caso di tempere o acquarelli. Il tempo di esecuzione del lavoro grafico è stato compreso tra i 30 e i 60 minuti.
Basandosi unicamente su una valutazione intuitiva delle risposte dei partecipanti e sulle sensazioni estetiche ed emozionali suscitate dai prodotti grafici, si può affermare che l’attività proposta è stata proficua in rapporto all’obiettivo essenziale di attivare il coinvolgimento, la spontaneità e l’impegno, fino a superare la tipica inibizione dell’adulto di fronte al compito di disegnare. Probabilmente lo stimolo letterario - in maniera analoga al sasso gettato nello stagno di cui parlava Rodari (1973) nella Grammatica della Fantasia - costituisce una potente cassa di risonanza delle sensazioni personali, tale da catalizzare la formulazione di precisi contenuti mentali, che la persona è poi motivata a comunicare a prescindere dalla qualità tecnica della resa grafica. Sebbene non abbiamo a disposizione dati utili per operare confronti tra differenti generi letterari, Il Ritratto di Dorian Gray, per quanto datato, è risultato immediatamente comprensibile e ricco di senso. Come tipicamente si verifica nel romanzo gotico, l’opera di Oscar Wilde parla di condizioni e processi psicopatologici estremi, tuttavia, sembra che essa sia stata accolta come una sorta di lente di ingrandimento funzionale a mettere a fuoco problematiche psicologiche comuni, o che comunque sembrano essere diventate tipiche della condizione umana nella nostra età postmoderna.
In questo contesto ci limitiamo a presentare le produzioni grafiche di 6 soggetti, esemplificative della varietà delle risposte. Nei primi due disegni si esprime la tragedia della vita, costituita dalla connaturata presenza di elementi opposti che ledono l’integrità dell’essere. Nel disegno 1, “La bellezza nell’inferno”, all’esaltazione di ciò che è luminoso, perfetto e incorruttibile come un diamante, fanno eco le fiamme distruttive di un tetro inferno. Nel disegno 2, “bellezza e tragedia incatenate”, il sole, la fonte primaria di energia, è ciò che fa fiorire la vita, ma che, ad un tempo, la fa appassire fino alla morte.
Disegno 1
Disegno 2
In altri disegni si fissano sul foglio elementi significativi dei processi psicologici che in vario modo, in positivo o in negativo, hanno a che fare con la dissociazione. Nel disegno 3, “Il tuo ideale di bellezza”, corrono parallele le storie di differenti filosofie di vita. In primo luogo un fiore proteso ad affermare il proprio ideale di bellezza nella sua immagine riflessa. Si tratta però soltanto di una potenzialità priva di seguito, perché la sua vita è fiaccata dallo scorrere delle stagioni e calpestata dal mondo esterno. In alternativa, la bellezza inossidabile e fredda dell’anoressia. Qui non vi sono specchi per guardare come si è veramente, ma piuttosto maschere per coprirsi; maschere che confinano nella finzione,ma che però permettono di essere amati. Anche nel disegno 4, “Essere e tempo”, prendono forma alternative di vita tra loro inconciliabili. Da un lato un orologio rotto da un pugno, ovvero la distruzione del tempo operata da Dorian Gray, a cui segue il “nulla”, che è il luogo dove egli rimane imprigionato. Dall’altro lato la vita. I fiori che scandiscono il tempo vissuto dall’anima, a cui corrisponde Sybil, contornata da maschere e carte da gioco. Diversamente dal disegno precedente e diversamente dal romanzo di Oscar Wild, la maschera rappresenta qui un elemento vitale, che esprime la capacità di impersonificare un ruolo tra i tanti possibili, e quindi di dare un senso all’esistenza.
Disegno 3
Disegno 4
In altri casi ancora, i contenuti mentali espressi nel disegno sono meno direttamente connessi al brano letterario proposto, sebbene ne colgano il senso, o prendano spunto dalle sue sfumature. Il disegno 5, “Autodistruzione”, comprende un cuore che sta degenerando e una bolla di vetro con dentro un mondo colorato. I due elementi sono ricompresi entro una sagoma nera, che stabilisce così una tetra continuità tra l’elemento mortifero e quello vitale. Nel disegno 6, “La perdita”, un fiore che rappresenta l’anima è ad un tempo trattenuto e lasciato libero di volare via dalle mani su cui è posato. La preoccupazione che si esprime è quella di proteggere l’anima, ma al tempo stesso anche quella di non tenere troppo stretti a sé i valori che questa possa veicolare, come la bellezza, la purezza e l’innocenza.
Disegno 5
Disegno 6
Gli esempi ora riportati evidenziano la varietà dei modi in cui l’opera letteraria può essere ascoltata, ovvero le diverse immagini, suggestioni e associazioni che essa può suscitare. L’uso del disegno sembra funzionale a favorire questa varietà di risposte, o comunque a dare visibilità al singolare modo in cui l’opera risuona nella singola coscienza. Questa coniugazione soggettiva dell’ascolto dell’opera letteraria chiama ancora in causa l’opera giovanile di Vygotskij (1916), proprio il discorso iniziale che apre il suo primo saggio dedicato all’Amleto di Shakespeare. Il giovane pensatore russo parlava di una fruizione dilettantesca dell’opera d’arte contrapposta ad una fruizione colta. Diversamente da una fruizione colta - attenta a collocare la lettura dell’opera all’interno della produzione del suo autore e nel contesto culturale in cui si origina – quella dilettantesca è del tutto libera da questi vincoli accademici. Ma non è affatto libera in toto. Al contrario, si svolge su binari esterni e interni da cui non deve in alcun modo deragliare. In primo luogo, la fruizione deve essere totalmente vincolata all’opera stessa. Il fruitore deve rimanere ancorato alla sfera di quella creazione senza staccarsene neanche per un istante. L’opera letteraria, come ogni opera d’arte, è granitica, non modificabile, quasi sacra nelle sue fattezze. La piena e attenta considerazione dei suoi aspetti formali e narrativi costituisce il presupposto affinché essa possa creare un cerchio magico in grado di visualizzare i vissuti soggettivi.
La fruizione dilettantesca si realizza quando la persona si lascia prendere dall’opera e riconosce ciò che sente di sentire, ovvero ne fornisce un’interpretazione, che è quella autenticamente propria, quella che, come diceva Vygotskij, si è disposti a difendere “a spada tratta”. Nella fruizione dilettantesca, l’opera letteraria mantiene inalterata la sua identità nel tempo, mentre può essere ricreata e declinata in rapporto alle singole coscienze. Come sentenziava il giovane Vygotskij, citando proprio Il Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, qualsiasi opera d’arte è simbolica, e così è infinita la varietà delle sue interpretazioni Vygotskij, 1916).
È nel contesto della fruizione dilettantesca che si perde la netta distinzione tra la produzione e l’ascolto dell’opera d’arte. Come azzardava Vygotskij, essere Shakespeare, o essere un suo lettore sono fatti che si differenziano infinitamente per grado, ma che sono del tutto identici per essenza. L’opera d’arte si offre come un corpo bellissimo, dalle potenzialità pressoché infinite, ma che per vivere abbisogna della soggettività di una persona che lo animi (ibidem).
In definitiva, focalizzare e fissare su un foglio le suggestioni suscitate dall’opera letteraria sembra essere una via promettente per realizzare la fruizione dilettantesca di cui parlava Vygotskij, ovvero per creare una via che ponga in collegamento il sentire soggettivo, che trova la sua più diretta espressione in un linguaggio libero e fluttuante, con una forma espressiva comunicativa, che implica l’ancoraggio a forme simboliche dotate di una certa chiarezza e stabilità, così da potere essere oggetto della coscienza riflessiva e della comunicazione. Si tratta di un’idea che ha trovato un qualche sostegno nelle esperienze da noi condotte, ma che richiede ancora un ampio lavoro di verifiche e approfondimenti, assieme ad una più articolata e concisa analisi degli elementi e dei processi in gioco.
articolo a cura della dottoressa
Rossella Bloise
Psicologa psicoterapeuta a Firenze
Il mio approccio alle tematiche della sofferenza psichica e del benessere è in accordo con la prospettiva psicoanalitica, che mi ha formato e continua a formarmi come persona e come professionista.
Dott.ssa Rossella Bloise
Psicologa Psicoterapeuta a Firenze
P.I. 06513240488
Iscritta dal 2011 all’Albo degli Psicologi della Regione Toscana n. 6734
Laurea magistrale in psicologia dello sviluppo e dell’educazione
declino responsabilità | privacy | cookies policy | codice deontologico
AVVISO: Le informazioni contenute in questo sito non vanno utilizzate come strumento di autodiagnosi o di automedicazione. I consigli forniti via web o email vanno intesi come meri suggerimenti di comportamento. La visita psicologica tradizionale rappresenta il solo strumento diagnostico per un efficace trattamento terapeutico.
©2018 Tutti i testi presenti su questo sito sono di proprietà della Dott.ssa Rossella Bloise
© 2018. «powered by Psicologi Italia». E' severamente vietata la riproduzione, anche parziale, delle pagine e dei contenuti di questo sito.